mercoledì 25 maggio 2011

Volgarità

Volgarità è la parola che aderisce alla specie umana di questi tempi laidi. Per la strada incrociamo volti slavati, trasudanti abiezione. Manca la grandezza: i vizi di uomini e donne degeneri, affetti da una tara ontologica più che genetica, sono piccoli piccoli; la loro malvagità è meschina, infida.

Basta scrutare quei volti rincagnati, gli occhi vacui, le fronti basse, i menti schiacciati, le labbra filiformi. Basta ascoltare le voci acidule, fesse, blese. Ci si imbatte in corpi sformati, in bipedi sciancati, in cosi impettiti. Non è bruttezza, ma squallore, vuoto, perché Tersite stesso, tracotante e sgraziato, è un eroe, benché negativo. Invano cercheremo dei peccati capitali degni di questo nome. I peccati sono scoloriti, rimpiccioliti: disgustano per la loro sordida ipocrisia, per la loro petulante bassezza. Le sconcezze sono esibite in modo sfacciato, come fossero azioni gloriose.

La volgarità è nel linguaggio degli untuosi "giornalisti", nella becera "scienza" adulatrice dei potenti, nell’irreparabile imbecillità dei negazionisti e degli ebeti estensori di Nonciclopedia, servi dei servi, nei leccati "intellettuali".

La volgarità trionfa nell'architettura tronfia di città mortuarie, nei libri la cui sciatteria è patinata da copertine lucide, nelle frasi fatte a base di "bufale", "nel senso che", "assolutamente", "come dire?"...

La volgarità è nella massa motosa ed informe, a suo agio nel brago della televisione, nel fango della "politica", nella melma del divertimento a comando.

Qualcuno ritiene che si debbano smuovere le coscienze. Troveremo delle coscienze da smuovere?

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